Atlanti storici - Scalfari Repubblica 2011
Non c'è Geografia senza Storia. La polemica sull'Atlante Einaudi e
gli schemi della critica letteraria
Ecco perché la linea De Sanctis-Croce, riproposta nel dibattito tra
Asor Rosa e i curatori dell'opera uscita per lo Struzzo, in realtà
non è mai esistita. Gli interlocutori stanno battendo un percorso
sbagliato: non si può parlare di una dipendenza dalla filosofia di
Hegel. Tra i due grandi pensatori esistono profonde differenze nel
modo di valutare autori e opere.
Ho seguito con vivo
interesse la polemica tra Alberto Asor Rosa e i due curatori
dell'Atlante della letteratura italiana pubblicato da Einaudi ed ho
letto la lettera che Ernesto Franco ha scritto al nostro giornale su
quella controversia. Intervengo a mia volta ma non nel merito della
discussione bensì su un'altra questione che mi sta invece molto a
cuore. Tutti e tre gli interlocutori, sia pure in modi diversi,
hanno ritenuto importante aver superato lo schema della dipendenza
della storia letteraria da essi definita con i nomi di De
Sanctis-Croce-Gramsci che risalirebbe alla filosofia dello Spirito
di Hegel.
Quello schema – o metodo che dir si voglia –
avrebbe ingessato la storia della letteratura fino ai tempi nostri
ma sarebbe stato finalmente messo da parte. Le bende hegeliane
sarebbero state tolte e la mummia letteraria per tanto tempo
conservata sarebbe finalmente rinata fresca e vitale, aperta a nuove
forme e libera da metodi e da schemi.
In queste loro conclusioni – in realtà meno apodittiche in Asor e
più tranchant in Luzzatto e Pedullà – mi sembra che concordi anche
Ernesto Franco. Sarà forse colpa mia se non riesco a capire di che
cosa parlino, ma per quel tanto che posso decifrare mi sembra che
stiano battendo un percorso sbagliato.
Anzitutto: non esiste
una linea comune di approccio alla critica letteraria che vada da De
Sanctis a Croce (tralascio Gramsci nei cui studi in proposito si
inserisce anche un pensiero politico militante). De Sanctis – come
Sainte-Beuve – prendeva in considerazione al tempo stesso le opere,
il personaggio dell'autore, il contesto storico in cui egli operava
e la società alla quale apparteneva e della quale era una voce.
La tesi della poesia e non poesia di Croce è completamente difforme
dal pensiero di De Sanctis. Croce si concentrava sull'opera; le
vicende, il carattere, la società che ospita l'autore non lo
interessavano né tanto né poco. La sua posizione era in tutto simile
a quella di Proust nel suo Contro Sainte-Beuve. Non riesco perciò a
capire quale sia la linea che collegherebbe De Sanctis e Croce.
Basterebbe del resto leggere il pensiero critico desanctisiano e
quello crociano su Leopardi per cogliere tra i due differenze
abissali.
Dipendenza dalla filosofia dello Spirito e dall'estetica di Hegel,
da cui i due critici non si sarebbero liberati? A me non pare che
questa dipendenza ci sia mai stata. Croce deriva certamente
dall'idealismo e dallo storicismo tedesco di Fichte e di Hegel ma,
tra i filosofi post-hegeliani è stato probabilmente quello più
innovatore. Il solo che abbia smantellato la dialettica tra gli
"opposti" (tesi-antitesi-sintesi) mettendo al suo posto la
dialettica tra i "distinti". Sostituì cioè la costruzione trinitaria
di Hegel con una costruzione circolare tra i vari momenti dello
Spirito, recuperando così quella visione laica che era andata
perduta dall'hegelismo. Hegel restaurò la metafisica che era uscita
assai bistrattata dal "cogito" cartesiano, recuperò l'assolutezza
trascendente dello Spirito, sublimò quella trascendenza facendone
partecipe perfino lo Stato; posizioni dalle quali Croce si distaccò
esplicitamente e che, semmai, furono riprese e portate avanti da
Giovanni Gentile.
De Sanctis dal canto suo non era un filosofo anche se la filosofia
occupò un posto di rilievo nel suo pensiero. Ma non ebbe alcun
rapporto empatico con Hegel. Lo ebbe invece con Schopenhauer al
punto che, durante il periodo del suo insegnamento a Zurigo, scrisse
una sorta d'intervista immaginaria insieme ad uno dei suoi allievi
preferiti. In quello scritto il De Sanctis si fingeva Schopenhauer e
l'allievo si fingeva l'intervistatore. È uno scritto di piena
adesione al pensiero d'un filosofo che, come è noto, considerava
Hegel come un "saltimbanco della filosofia", se non addirittura come
un ciarlatano.
L'idea che l'autore della Storia della
letteratura italiana non sia riuscito a liberarsi da Hegel mi sembra
dunque assolutamente mal posta. Ricapitoliamo. Non esiste una linea
diretta tra De Sanctis e Croce ma anzi profonde differenze nel loro
modo di valutare autori e opere letterarie. È vero però che ambedue
avevano un profondo senso storico. Del resto sarebbe molto difficile
scrivere una storia se non si è assistiti da senso storico. Asor
Rosa l'ha ampiamente dimostrato nella sua Letteratura italiana.
Capisco che un Atlante non è una storia né se lo propone. Può essere
molto utile un Atlante e questo dell'Einaudi certamente lo è, così
come lo sono le "Pagine gialle" rispetto all'elenco telefonico che
procede seguendo l'ordine alfabetico.
Quanto alla geografia
che sarebbe la grande novità letteraria di Luzzatto e Pedullà sulla
spinta ricevuta dall'insegnamento di Dionisotti, mi limito a
ricordare che la geografia senza storia è appunto soltanto un
atlante didascalico che disegna i mari i monti le pianure e i fiumi.
D'altro canto una storia senza geografia è impossibile. Sono dunque
un'unica disciplina formata da due specialità impensabili se
separate.
Si può naturalmente dissentire nelle valutazioni specifiche. Si può
ritenere, come fanno Luzzatto e Pedullà, che i primi vagiti della
letteratura italiana siano stati emessi a Padova o invece, come
sostiene Asor e tutta la storia letteraria, in Sicilia e a Firenze.
Ma in entrambi i casi storia e geografia non possono che andare
sottobraccio. Se questa è un'innovazione, rimonta ai tempi di Cino
da Pistoia e, prima ancora, ai trovatori provenzali, ai menestrelli
che cantavano rime sulle corde dei liuti nei castelli d'Aquitania e
sugli studenti che affluivano a Bologna.
Quanto a De Sanctis – e qui chiudo – bisognerebbe ancora leggerlo
nelle scuole. S'imparerebbe a scriver meglio, che poi significa
pensare e volere in modi più appropriati di quanto oggi non
avvenga.
la Repubblica - R2 Cultura
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